Cronache Danesi – Roskilde ● Nesnesitelná lehkost bytí
I pessimisti ritengono che possa sempre e solo andare peggio. Sicuramente i danesi, almeno a livello fonetico, non rientrano in questa categoria. Nella prima puntata delle mie cronache danesi ho raccontato ai lettori di questo blog come la lettera G sparisca nella pronuncia di Køge. Non potrebbe andare peggio di così, no, direte voi. La lettera è lì, ma è come se non ci fosse. In realtà, può andare peggio di così. Chiedete alla lettera D che diventa L in alcuni casi. Quali casi, non l’ho ancora capito. E probabilmente, non lo capirò mai. Comunque sia, non intendo tediare ulteriormente i lettori di questo blog con argomentazione fonetico – linguistiche. Vorrei, invece, raccontare di Roskilde che si pronuncia Roskilde, e si scrive Roskilde anche in danese, in caso ve lo steste chiedendo.
Mi piacciono i treni. Cerco, quando mi trovo in una nazione nuova, di prenderne uno, almeno. Mi permettono, inoltre, di sbirciare nella vita quotidiana di chi, quel paese per me altro, lo abita. Fuori passano i ponti, le strade, le case, le mucche e i campi. Da Køge e Roskilde ci vogliono circa venti minuti su rotaie. Non dormo molto da quando sono arrivata in Danimarca: sarà che ho voglia di imparare, sarà che al mattino alle quattro e mezza la mia camera è inondata di luce. A cavallo di un bel trenino, quindi, a Roskilde sono arrivata alle 8 di un ventosissimo sabato mattina.
Circa 50 mila persone abitano quella che, secondo i libri di storia, è stata nei secoli sede di alcuni divertenti aneddoti che vado, in breve, ad elencare. Innanzitutto, la città prenderebbe il nome dall’unione della parola kide (sorgente), ed il nome di Re Roar, o più snellamente chiamato Hroðgar in danese. Roar compare un po’ dappertutto nelle letterature scandinave: nel Beowulf, in alcune saghe norvegesi, in alcuni scritti di un certo Saxo Grammaticus. Unanimemente, è definito generoso e onesto e mite e valoroso. Incapace di commettere atti di vandalismo culturale o ideologico, e inerme di fronte alle movenze tentatrici di veline in gonnella e scudi ricamati, il nostro eroe non avrebbe avuto vita facile in una qualsiasi nazione contemporanea.
A Roskilde, nel corso della storia, succede di tutto: in ordine altamente a-cronologico, arriva la Peste, sopraggiungono gli Svedesi, incombe la Riforma luterana, si succede una serie pressoché infinita d’incendi che disintegrano parti intere della città. Il cuore vichingo della città, però, non molla. Gli Svedesi sono rispediti su quella riva così vicina, ma così lontana; la Peste viene scacciata grazie all’intervento propizio di alcuni marziani che provvedono inoltre all’estinzione degli incendi sopra citati; i pastori luterani restano, e diventano vere e proprie rock star su un palco di tutto rispetto, ovvero la Cattedrale.
La Domkirke sembra l’opera del miglior muratore della storia. Gotica sì, ma costruita utilizzando milioni di mattoni rossi. A chi scrive questo blog, l’esterno è sembrato affascinante certo, ma … un po’ spoglio. Mi balenavano in testa i gargoyle di Notre-Dame, o le volte scheletriche del convento del Carmo a Lisbona.
Tutt’altra la sensazione una volta attraversata la porta d’ingresso. Molto di frequente, all’interno di costruzioni religiose (per la maggior parte cattoliche) ammetto d’essermi sentita pesante. Pesante di cuore, pesante di stomaco. Immagini funeree di povere anime che strillano dalle pozze infuocate dell’inferno. Cuori sanguinolenti appesi nel petto del Buon Gesù. A volte, in alcuni luoghi di culto, ho avuto la tentazione di urlare: “Possiamo tentare d’essere un po’ più leggeri, un po’ più spensierati?”.
Nella Cattedrale di Roskilde, quella brama non mi ha assalita, anzi ho sorriso per la maggior parte delle tre ore che ho passato sotto quelle volte luterane. Serena, ho camminato sfiorando dei poggia-mano intarsiati a forma di animali che, indubbiamente, avranno anche un significato religioso recondito, ma sul mio viso, hanno provocato un sorriso largo e leggero. Ho incorniciato con la Nikon figure addormentate ma che, nel mio cervello, hanno ricordato un bel sogno. Le volte bianche, riparo delle tombe di tutti i regnanti danesi fino ai giorni nostri hanno riportato alla mente il candore dello zucchero filato. Quel figuro, incastonato nella Porta del Troll, mi ha ricordato una fiaba per bambini. Osservando quei dettagli architettonici appesi qua e là, mi sono resa conto di quanto la vita possa essere interpretata come un lucido percorso, fatto di ponti che uniscono, e non di muri impregnati di religione. Respiravo un po’ meglio quando sono uscita dopo tre ore da quel Patrimonio Universale dell’Umanità.
A Roskilde, oltre a creare elucubrazioni pseudo-religiose, ho anche visitato il Museo delle Navi Vichinghe che si affaccia su un meraviglioso fiordo. Ad aspettarmi, lì, c’erano le 5 navi Skuldelev che risalgono all’XI secolo, un momento storico carico di avvenimenti sociali a dir poco scoppiettanti. I Vichinghi, per proteggere l’allora capitale danese Roskilde, conducono in quel periodo le cinque navi a 20 kilometri dall’insenatura e le trasformano in barriera contro gli invasori. Vanno in pezzi, e i frammenti scendono silenziosi ma un po’ tronfi in fondo al mare dove aspettano, pazienti, fino al 1962 d’esser ripescati, ricostruiti e riportati alla luce nel Museo che viene visitato da circa 130 mila viaggiatori ogni anno.
Ho camminato, leggera, a fianco d’una Storia che nei miei libri di storia è stata soltanto superficialmente toccata.
All’esterno del museo, ci sono anche dei piccoli laboratori che insegnano agli ignoranti come me a intagliare il legno per creare polene incredibilmente ricche. All’esterno c’è anche lo Stallone del Mare di Glendalough. Contrariamente a quanto possiate pensare, non si tratta di un aitante iberno-danese, bensì della più grande ricostruzione di una nave vichinga al mondo. Nel 2007, 65 folli cerebrolesi sono saltati in groppa allo Stallone e l’hanno condotto per più di mille miglia nautiche (che a me sembrano davvero un’infinità di onde maligne) da Roskilde a Dublino. I lettori di questo blog sono gentilmente invitati a ricordare come l’autrice di questo blog sia una persona fondamentalmente superficiale. Per questo, di fronte alla polena colorata dello Stallone, l’unico pensiero, nella mia testolina occhialuta è stato “Ma come hanno fatto ad andare in bagno durante una traversata di mille miglia nautiche?”.
WOW! You are really good at writing and taking photos, I might add …
I look forward to be following your adventures in the Danish cultural landscape more closely (you make it sound so beautiful and invigorating, I’d like to visit that place too!!!)
Kamilla