Galápagos: la fine e l’inizio del mondo
Le Galápagos sono la fine e l’inizio del mondo: laggiù tutto è ordine e bellezza. Davanti a Kicker Rock (o the Sleeping Lion), in questa prima immagine, sono seduta a prua, l’acqua viene tagliata dalla punta della Yate Darwin (questo il nome della nostra imbarcazione). Io ed i miei compagni di viaggio abbiamo ribattezzato quest’area “il luogo segreto” anche se non è affatto sconosciuto: lo conosciamo tutti, è semplicemente una parte della barca dove a piccoli gruppetti veniamo a sederci per godere del panorama e della compagnia e del silenzio degli altri che navigano questo oceano. Ci fermiamo aspettando la cena e tra le onde spunta una foca con un enorme pesce in bocca.
Tutto intorno a noi sorgono isolette disabitate (si stima che le Galápagos siano per il 97% vuote di umanità), piccoli atolli, alcuni sono state battezzate, mentre la maggior parte non hanno un nome. Sono in un paradiso quasi del tutto intoccato dagli esseri umani: qui gli animali non sono spaventati perché sono loro i residenti giusti di questi luoghi. Arriva il tramonto, e anche se siamo lontani da altre isole, il fragore delle onde che lì si infrangono arriva fino al nostro luogo segreto. Ogni tanto qualche uccello si butta in mare e pesca. Ogni cosa sembra lontanissima e ancestrale.
L’abbondanza della Pachamama
Le Galápagos sono la rappresentazione dell’abbondanza su questo pianeta. Un viaggio in questo arcipelago convoglia l’idea della ricchezza di questa parte di mondo, non solo per la quantità incredibile di animali che vedrete se arriverete fino a qui, ma anche per la biodiversità della vegetazione e della geologia di queste isole.
L’Isla Rábida mi appare dalla prua della Yate Darwin al mattino e già da qui sembra una visione. Si tratta di un’isola relativamente piccola, arida e con pendii ripidi. La maggior parte della costa è rocciosa, ad eccezione di una spiaggia lunghissima di sabbia rossa (dovuta all’alta concentrazione di ferro nella lava che ha formato questa isola) sul lato nord-est. Ci fermiamo proprio qui per qualche ora e ci buttiamo in acqua: i leoni marini – soprattutto i piccoli – giocano tra le onde, e alcuni – i più coraggiosi e dispettosi – si divertono con le bretelle dei nostri costumi da bagno.
Nella zona di Dragon Hill, sull’Isla Santa Cruz Norte, esplode invece la magnificenza del mondo vegetale. Ancora oggi ricordo questa fermata come una delle più emozionanti di tutto il viaggio perché qui ci sono intere foreste di palo santo, l’albero dell’incenso, e di cactus pluridecennali, alti metri e metri, che accomodano sulle loro cime piccoli fiori gialli, lo snack preferito dei fringuelli di Darwin. In lontananza, si vedono un enorme cratere vulcanico e una imbarcazione molto più imponente della nostra piccola Darwin Yate. Poco prima di tornare a bordo, trovo per terra ciò che sembra un tessuto damascato colpito dal sole: si tratta in realtà della struttura interna ad un cactus che aiuta la pianta a raccogliere e distribuire l’acqua in ogni parte del vegetale. Alle Galápagos la natura è immensa e invincibile. Nessuna macchina fotografica riuscirà mai a convogliare l’opulenza di questa terra.
Su più isole, poi, si incontrano le mangrovie: queste piante contribuiscono a conservare l’acqua dolce filtrando l’acqua salata, perché si sono adattate nel corso della storia per assorbire ossigeno e rimuovere il sale, che permettono loro di tollerare condizioni che ucciderebbero la maggior parte delle piante. Ma non solo: possono immagazzinare quantità significative di anidride carbonica dall’atmosfera, il che le rende quasi dei super eroi nella lotta contro il cambiamento climatico. Inoltre, prevengono l’erosione stabilizzando i sedimenti con le loro radici, smussano le onde oceaniche e prevengono le inondazioni durante le tempeste. Non da ultimo, svolgono un ruolo vitale nel ciclo dei nutrienti, contribuendo alla rete alimentare e sostenendo vari organismi marini.
Cleptoparassitismo
È l’alba, e dopo una notte (dicono) davvero movimentata durante la quale ho dormito senza sogni e senza ansia, scendo dal letto cercando di non ammazzarmi e vado al secondo piano della Darwin Yate. Dormono tutti, ma le fregate non riposano. Si nutrono di molti tipi diversi di pesci, ma non possono atterrare sull’acqua perché le loro piume non sono impermeabili. Se lo facessero, non sarebbero più in grado di decollare. E allora volano sopra la nostra barca, ci accompagnano spesso nelle nostre traversate, tagliando il vento.
Sono uccelli affascinanti anche a livello estetico, perché oltre ad avere la coda a forma di forbice, sia i maschi che le femmine sono tutti neri tranne che per il petto: le femmine hanno lì una macchia bianca che può estendersi fino al collo, mentre il maschio ha un enorme sacca di gola rossa. Durante la stagione riproduttiva, il maschio spinge l’aria lì e la gonfia, anche per un periodo di circa 20 minuti: si danno delle arie, e così facendo fanno innamorare le signorine!
Sembrano non stancarsi mai, lì in mezzo al vento, ma forse trovano la loro forza dal gruppo: sono sempre in gruppo mentre ci seguono in mezzo al Pacifico. C’è un motivo molto specifico per cui questo accade, però: spesso gli stormi di fregate lavorano insieme per rubare il cibo ad altre specie di uccelli; tirano la coda e le piume degli “avversari” finché questi non sputano il loro pasto per fuggire. Le fregate sono quindi definite cleptoparassite: rubano il più possibile da quanti più uccelli possibile!
Ode alle iguane
Come vi dicevo nel primo articolo, le iguane sono state i primi animali a darmi il benvenuto alle Galápagos, ma le incontro di nuovo spesso durante i vari stop della mia crociera. Molti dicono che sono bruttine. Mi interessa dissentire per vari motivi: innanzitutto, le iguane marine hanno attraversato il tempo, e si sono differenziate attraverso le diverse ere geologiche dalle cugine terrestri. Le iguane marine delle Galápagos sono famose per essere le uniche lucertole marine del mondo. Inoltre, le loro abitudini alimentari sott’acqua sono un’altra caratteristica notevole, poiché si nutrono ampiamente delle alghe che crescono in cima alle rocce sommerse. Sono quindi principalmente vegetariane. Inoltre, a differenza delle creature piumate che si librano in volo alle Galápagos, le iguane marine non possono semplicemente volare via dal loro ambiente severo se si trovano ad affrontare momenti difficili (in termini di nutrimento e cibo). Per le iguane marine delle Galápagos si tratta di adattarsi o morire. Di conseguenza, questi incredibili rettili sono in grado di rimpicciolire il proprio corpo per essere meno dipendenti da grandi quantità di cibo. È una caratteristica affascinante che permette loro di migliorare le probabilità di sopravvivenza e di trasmettere i propri geni alla generazione successiva.
Ma non finisce qui. Come dicevo sopra, questi rettili sono grandi fan delle alghe (oltre che di granchi e … di escrementi di leoni marini!). Nelle immersioni che le portano alla ricerca del loro cibo preferito, spesso scendono molti metri sotto il livello del mare e possono restare in apnea anche per un’ora. Per fare ciò, sono in grado di abbassare i battiti cardiaci da 43 a 9 al minuto. Tornate sulla terraferma dopo un exploit sportivo del genere, hanno però bisogno di riprendersi: si spiaggiano immobili aspettando di capire se il cuore gli è scoppiato o no. Così le trovo sulla spiaggia di Isla Isabela: se stanno al sole vicino a giganteschi leoni marini. Entrambe le specie animali ci ignorano completamente mentre le guardiamo e le fotografiamo da una giusta distanza. Siamo totalmente insignificanti per loro – e per le iguane, probabilmente, siamo pure sportivamente ridicoli.
Le iguane terresti non sono da meno. Sull’Isla Cristobal, ad esempio, sono talmente camaleontiche che in un primo momento penso d’avere delle allucinazioni perché mi sembra che le rocce nere dell’isola si spostano in slow-motion. Per sopportare il caldo che su queste rocce vulcaniche può anche arrivare a 50C nella stagione secca, questi rettili si mettono in una posizione simile alle sfingi: alzano il petto dal terreno per trovare un po’ di refrigerio dalle bollenti temperature. Nella zona di Dragon Hill, sull’Isla Seymour Norte, ne incontro altre enormi, lunghe tra uno e due metri: sgranocchiano cactus qui perché si sono adattate alle poche fonti alimentari disponibili alle Galápagos. Sono colorate, dal marroncino all’ocra al giallo all’arancione bruciato. Non sono aggressive. Hanno pochi denti posizionati nel lato interno delle mandibole. E spesso spuntano via il sale che qui è trasportato nell’aria e dalle onde tirandoselo addosso: per questo ogni tanto hanno la cresta bianca (ok, l’altro motivo per cui hanno la cresta bianca è a causa degli escrementi che regalano le sule, ma questa è un’altra storia!).
I leoni marini sono dispettosi
L’Isla San Cristobal si è formata più di 10,000 anni fa, durante l’ultima glaciazione. Le rocce vulcaniche che scricchiolano sotto le mie scarpe ne sono sicuramente la prova. Questo territorio è anche però casa di grandi colonie di leoni marini: come succede un po’ dappertutto alle Galápagos, questi animali non sono disturbati dalla presenza dell’uomo (li troverete anche sull’Isola di Santa Cruz, in mezzo al poco traffico) e quindi continuano a comportarsi come se nulla fosse mentre ci vedono passare vicino (ma non troppo! Ricordate dei consigli che vi ho dato nel primo post dedicato alle Galápagos!).
Molti se ne stanno grassocci e pacifici a poltrire al sole, e quando le mosche o granchi colorati cominciano ad infastidirli, le spostano pigramente con le zampette, quasi con noia. Nelle nurseries, ovvero in quelle zone dove le femmine gravide vengono a partorire e dove i piccoli trascorrono i primi periodi di vita, si ha modo di partecipare completamente alla grandezza della vita. Bisogna però anche ammettere che proprio in queste aree speciali l’aria non ha nessuna fragranza romantica!
Le sule: stupide a chi?
Le sule sembrano dei clown: camminano dondolando come pagliacci ovunque nelle Galápagos, incuranti della nostra presenza. Probabilmente, proprio a causa della loro mansuetudine e della carenza di paura nei confronti dell’uomo, venivano facilmente uccise dai primi marinari che qui li chiamavano boobies (dallo spagnolo “stupido”) per indicare la loro presunta mancanza di intelligenza. Detto questo, le sule sono invece uccelli unici.
Nel caso delle sule piediazzurri, la caratteristica da cui deriva il nome è già abbastanza interessante, ma questi uccelli sono pieni di adattamenti e comportamenti singolari. Avere le zampe blu brillante è una decorazione interessante e, a quanto pare, fa davvero impazzire le signorine, ma questo tratto è soggetto a selezione sessuale, il che significa che le femmine preferiscono accoppiarsi con maschi che hanno zampe più brillanti. Solo i maschi più colorati trasmettono la loro genetica, producendo pulcini dalle zampe più colorate.
Inoltre, le zampe blu non sono solo una caratteristica decorativa di questi uccelli. Il colore deriva dai pigmenti carotenoidi presenti nei pesci di cui si nutrono. Questo è simile al modo in cui i fenicotteri ottengono la loro colorazione rosa brillante. Il colore blu è anche un buon indicatore della salute dell’uccello: più le zampe sono brillanti, migliore è il sistema immunitario. In altre parole, quindi, le sule piediazzurri non nascono (né muoiono) con le zampe blu.
Le sule, poi, hanno narici sul becco che sono permanentemente chiuse. Respirano quindi attraverso gli angoli della bocca. Questo adattamento è dovuto al fatto che questi uccelli marini si immergono in cerca di cibo e le narici chiuse proteggono meglio dall’acqua di mare. Stupide a chi?
Nel corso del tempo, questi uccelli si sono molto specializzati nella selezione del cibo: quando le popolazioni delle loro prede diminuiscono, da un lato possono catturare altre specie per evitare di morire di fame, ma dall’altro non riescono ad allevare con successo i pulcini. Questo è accaduto proprio alle Galápagos, dove le popolazioni di sardine sono diminuite. Per questo motivo, il sovrasfruttamento della pesca rappresenta un grave problema per questi animali meravigliosi.
[Per correttezza, vi informo che esistono anche le sule piedirossi: oltre alla caratteristica che ne definisce il nome, questi uccelli hanno un becco blu alla base che si schiarisce man mano che si assottiglia fino a raggiungere la punta. Nel mio viaggio alle Galápagos, ne ho viste molte meno di quelle con i piedini blu, ma non demordete!]
Adios, Galápagos!
Ritornare a Puerto Ayora dopo una settimana in mezzo a tutto questo provoca in me un sentimento agrodolce: stavo bene sulla Yate Darwin, lontana dal frastuono delle città, ma mai così vicina al pianeta. In questi giorni al largo del Pacifico, è diventato normale guardare gli squali bianchi che di sera vengono a toccare la nostra barca, per nulla interessati a noi; ci si abitua presto a vedere i tramonti alla fine del mondo, le onde da cui ogni tanto spunta la testa di una tartaruga o appare un’aquila di mare, una foca che salta sul nostro gommone a prendere il sole, affatto spaventata della nostra presenza. Osservare l’Isla Daphne da lontano, senza sbarcare perché è luogo ufficiale di ricerca degli uccelli, o meravigliarsi della forma del Sombrero Chino, sembrano azioni regolari, naturali.
A Puerto Ayora, invece, dove vivono circa 15,000 persone, tutto mi sembra scontato. Ci sono tantissime farmacie, che vendono dalle medicine al vino ai Ferrero Roche, e altrettante agenzie che organizzano tour giornalieri o plurigiornalieri, e bar e ristoranti, e negozi principalmente turistici. Puerto Ayora non mi ha lasciato nulla dentro, a parte due nuovi incontri con le testuggini giganti delle Galápagos. Rivedere un animale così importante all’interno della Charles Darwin Foundation (About us – Charles Darwin Foundation) è però immediatamente un’esperienza diversa da quella vissuta qualche giorno prima alla Black Turtle Cove, sulla costa nord dell’isola di Santa Cruz, accessibile solo via mare, dove le tartarughe nuotano e sporgono la testa sopra la superficie delle acque calme, mentre pesci, razze e piccoli squali volteggiano sotto di noi. Il sentimento di malinconia cresce ancora un po’ quando arrivo al Ranch El Chato Dos, che si autodescrive come “una riserva ecologica privata e familiare che offre rifugio” a questi animali che danno il nome a tutto l’arcipelago (galapago, in spagnolo, significa proprio testuggine). Da questa tenuta situata a circa 45 minuti da Puerto Ayora, le tartarughe migrano per andare a deporre le uova percorrendo a volte anche 30-40 chilometri. Al Ranch, invece, mangiano e si riproducono. La visione di mucche sdraiate vicino a questi chelonidi nei prati che circondano il ranch mi ritorna in testa ancora oggi come un’immagine inventata.
L’ultimo ricordo che ho però delle Galapagos è un’immagine di attenzione e garbo proprio nei confronti delle tartarughe. Ed è così che vogliono chiudere questi lunghi articoli: sulla strada di ritorno dal Ranch El Chat Dos, in mezzo alla strada, c’è una testuggine. La lentezza con cui si muove la fa sembrare immobile da lontano. Due jeep di fronte alla nostra si fermano a una decina di metri dall’animale: scendono in quattro, la sollevano con estrema delicatezza, e la portano al lato della strada. La mettono in salvo.