Kalaallit Nunaat ● Parte 2
Eravamo rimasti a Georg.
Georg, di mestiere, faceva principalmente il cacciatore. Aveva 42 anni, nel 2006, ma ne dimostrava almeno 10 di più. Sarà stato il gelo dell’Artico, o quel sole inclemente, o il vento che ti tronca la pelle un giorno sì e l’altro anche. La natura, che alla fine vince sempre contro l’uomo, qui è infatti ancora più schiacciante. O il buio, che per circa 6 mesi all’anno, inghiotte queste terre, lassù, da sole, in cima al mondo. La tenebra lascia agli esseri umani pensieri ingombranti.
La tenebra spinge gli Inuit, quegli antichi cacciatori e pescatori che circa 5 mila anni fa hanno attraversato lo stretto di Bering per arrivare in mezzo a questi iceberg, ad un alcolismo severo. E può accadere così che in un villaggio di 100 abitanti, si contino 6-7 suicidi all’anno, quasi tutti giovani tra i 18 e i 20 anni, che si impiccano in bagno o alla trave di casa.
La “mia” famiglia Inuit, invece, era fortunatamente allegra e variegata. Nelle settimane in cui sono stata ospite loro non ho mai realmente capito chi era chi. Le mie uniche certezze erano Georg e sua moglie Justine. C’erano poi altre 20 persone che gravitavano come satelliti dagli occhi a mandorla intorno alla nostra casa. Bambini, infiniti bambini. Il mio preferito era indubbiamente Mario. Come un giocatore del Barcellona, mi ha fatto capire una sera, Justine. Sconvolta nello scoprire che, io, di calcio, non capisco assolutamente niente. Girava per casa sempre e solo indossando un enorme pannolino, e mangiava costantemente.
Non avevo un letto nella camera che mi era stata dedicata, avevo un materasso e il sacco a pelo. So che gli altri membri della famiglia, invece, dormivano tutti insieme in una sola stanza, per scaldarsi, o forse per sublimare: la temperatura media nella casa era infatti 25-30 gradi. Quella esterna, lasciamo stare. Basti pensare che indossavo, spesso, 3 paia di pantaloni, uno sull’altro. Le gambe, come dei tronchi, ma almeno non avevo freddo.
In bagno, una delle prime sere, ho incontrato poi Jess. Jess era danese, alto quasi 2 metri, barba rossa, e per 4 mesi all’anno faceva la guida per ricchi americani in Groenlandia. Durante il resto dell’anno era professore di filosofia all’università di Aarhus. Nella mia vita, però, sarà sempre ricordato come colui che mi ha insegnato ad andare in bagno in Groenlandia. L’avevo cercata, la catenella del bagno, per 10 minuti, finchè lui, da fuori, in inglese perfetto ha urlato: “Non esiste! Smetti di cercarla, e fammi entrare”. L’ho fatto entrare, si è presentato e siamo diventati amici davanti alla toilette. mentre lui mi spiegava che non ci sono scarichi, a Kulusuk. C’è però un trattore, “the poo tractor”, che passa circa 3 volte alla settimana. A turno, il secchio che compone il corpo del water, viene svuotato.
L’incombenza, per qualche motivo sconosciuto, toccava però spessissimo al povero, pasciuto Georg.
Alla fine della seconda settimana, poi, su una piccola montagna senza nome, ho conosciuto anche due sorelle tedesche, Rikke e Jette, da Jena, con cui ho condiviso colazioni infinite, nella casetta che avevano affittato dallo sciamano di Kulusuk, e itinerari incancellabili. Loro, a differenza di Jess, sono passate alla storia come le migliori cuoche di paella della Groenlandia.
Questo però, appartiene alla terza ed ultima parte di Kalaallit Nunaat. Ve la racconto nella prossima puntata, ok?
…che storie,amica,che storie….
Certo che vivere in una famiglia Inuit dove il bambino si chiama MARIO deve essere tutto un programma!!!