La metropolitana di Stoccolma
Fuori fa un freddo boia che ti taglia la faccia e la notte artica si è già appoggiata sulla città quasi deserta in questo pomeriggio di dicembre 2022. Scendo nella pancia della terra. Trenta e passa metri sotto il livello della strada, e mi trovo in un regno un po’ psichedelico. Pavimenti a scacchiera, statue classiche, pilastri a spirale. Mi trovo a Kungsträdgärden, una delle stazioni della metropolitana di Stoccolma. Qui sotto invece centinaia di persone vanno e vengono, studenti, viaggiatori, bambini imbottiti dentro a tute termiche colorate.
Ed è proprio per questo che mi piacciono da sempre le metropolitane delle città del mondo: la vita pulsa lungo questi 110 chilometri di rotaie che collegano tutta la capitale svedese, ma in fondo questi binari sono anche un’idea di comunanza, un’idea della grandezza dell’Umanità che non solo gode fisicamente dell’arte, ma ne diventa parte.
La metro di Stoccolma nasce ufficialmente nel 1933, come “pre-metro”. Kungsträdgärden non è la fermata più antica di quella che viene definita come la galleria d’arte più lunga del mondo: il primato spetta alla vicina T-Centralen, i cui interni cavernosi sono ricoperti di foglie color blu vivo e di ombre di muratori nel 1957. Nel corso dei decenni, si calcola che più di 150 artisti abbiano partecipato a questo immenso esperimento creativo condiviso. Da un certo punto di vista, si può anche affermare che si tratta di un modo molto democratico di esporre l’arte: basta comprare un biglietto. Forse, inoltre, si può arrivare anche a dire che il sistema metropolitano di Stoccolma sia un gigante documento storico: a seconda di dove ci si ferma, si può godere di arte post-moderna (relativa agli Anni Ottanta), oppure di arte politica, tipica degli Anni Sessanta.
Non tutto però è andato sempre liscio, come spesso accade nella costruzione di grandi opere urbane: all’inizio degli Anni Settanta quando iniziarono i lavori a Kungsträdgärden, i residenti scesero in strada per protestare, preoccupati per la distruzione degli alberi secolari dello storico parco sovrastante. Le loro lamentele presero il nome di Conflitto degli Olmi, ma sono ormai un ricordo molto lontano dato che la stazione è diventata una celebre destinazione culturale. Che strano definire così una stazione o una intera rete di transito in questo modo, vero? La Storia, però, ribalta spesso le necessità e le priorità del mondo.
La rete della metropolitana di Stoccolma comprende 100 stazioni, e 94 delle stesse sono state trasformate in installazioni artistiche. Alcune poi sono state anche definite “Stazioni Grotta”: queste caverne scavate nella roccia sono molto affascinanti e non mi ricordano nulla di negativo (come l’inferno) mentre salgo e scendo per vederne almeno le più spettacolari. Una delle più suggestive è quella di Stadion: nel 1973 Enno Hallek e Ake Pallarp illuminano questa fermata con una mano di pittura azzurra sul soffitto e sovrappongono un arcobaleno che gira tutto intorno. Come spesso accade, questa creazione ha portato poi un cambiamento socioculturale: da allora, il Pride di Stoccolma ha iniziato a concentrarsi nel quartiere di Östermalm. L’arcobaleno, oltre a portare allegria a chi transita da lì, è anche culturalmente appropriato. Mentre transito in questa stazione, stranamente mi vengono in mente barche di pescatori che escono al largo, su un mare calmo e non geograficamente specificato. Mi vengono anche in mente le pitture di Lascaux: i muri ci parlano e rappresentano l’Umanità da sempre, da molto lontano.
Un cielo completamente diverso è quello che incontro alla fermata di Solna Centrum: qui i muri e il soffitto sono rosso vivo, rosso come la passione, la vitalità, i pomodori. In mezzo a questo fuoco dantesco, provo due sentimenti abbastanza contrastanti: il primo è appunto la vita, la normalità e la grandezza della nostra esistenza, che è rappresentata da un contadino che semina un campo, da case, alberi, da un alce. Il secondo è probabilmente influenzato dai miei interessi personali: mi sento in un romanzo distopico. La terra brucia intorno a me, ma io me ne sto qui tranquilla ad aspettare la metro.
La stazione di Odenplan è costellata di centinaia di metri di illuminazione a LED seghettati sul soffitto. Sarà deformazione professionale, ma io ci vedo subito un qualcosa di medico e per una volta ci azzecco: si tratta della rappresentazione del battito cardiaco del figlio – non ancora nato, in quel momento – di David Svensonn, creatore dell’opera intitolata Life Line.
A City Station, le cose cambiano di nuovo: qui mi ritrovo in un caleidoscopio infinito, leggero come una piuma. Uno specchio all’inizio delle scale mobili proietta la luce su una serie di prismi sospesi che a loro volta rimbalzano motivi colorati sulle pareti. A City Station, si scrive e si dipinge con la luce in una immensa cattedrale dei pendolari. La mia testa non sviluppa teorie post-apocalittiche qui: mi sembra di essere sulla soglia di una sala cerimoniale, in presenza della Forza (per citare Guerre Stellari, così, incidentalmente), all’interno di una cupola sacra protesta verso un qualche tipo di Cielo, in cui tutti quelli che vanno e vengono condividono un momento di bellezza molto definito.
La galleria d’arte più lunga del mondo diventerà ancora più lunga nei prossimi dieci anni: ci sarà un’estensione della linea blu e una nuova linea gialla. Nuove opere compariranno in decine di stazioni, dato che molti artisti sono già stati designati per garantire le loro creazioni. Mi toccherà fare questo sforzo e tornare a vedere quali altri mondi magici compariranno qui sotto, nella pancia della terra svedese.
[Se volete leggere un altro racconto svedese, scritto tanti anni fa, cliccate qui]