L’Abbazia di Montmajour
Ad un certo punto della vostra vita vi troverete a spostarvi da Arles in direzione di Avignone. Avrete vicini il Massiccio del Luberon e le Alpilles. In questa zona magica della Provenza, vi consiglio di visitare l’Abbazia di Montmajour (sito ufficiale in francese qui). Così facendo, potrete – tra le altre cose – ripercorrere i passi di Van Gogh che si ferma qui tra il 1888 e il 1889 e la dipinge nel suo Tramonto.
Tra i tanti luoghi indimenticabili della mia permanenza francese, l’Abbazia rimane nel mio cuore anche ora che ne scrivo dopo tanti mesi, dopo tanti cambiamenti: le tombe rupestri, la chiesa abbaziale rimasta incompiuta, il Romitaggio di San Pietro costruito lungo un cunicolo di grotte naturali, le enormi stanze vuote e la convivenza elegante di romanico, gotico e classico mi ricordano ancora una volta che i luoghi mantengono un qualche tipo di energia, i luoghi hanno una memoria impalpabile e se chiudo gli occhi li posso ancora vedere, i monaci, i mercanti, le navi che arrivavano qui una volta.
Una volta qui c’era il mare.
L’Abbazia di Montmajour, infatti, ha rappresentato per diversi secoli un centro importante del potere della spiritualità cristiana, un potenza che derivava da fattori inaspettati se li si analizza con gli occhi del ventunesimo secolo.
Sorgendo a pochi chilometri dal porto di Arles, l’Abbazia si trova su una piccola isola rocciosa, in posizione strategica in un momento in cui il Mar Mediterraneo riacquista centralità (siamo nel 1100, circa). Qui arrivava il mare e il mare è ancora presente sui suoi muri color sabbia: nella parte sud-ovest del chiostro, infatti, si possono ancora vedere dei graffiti marini. Un atto vitale ed ancestrale, come molti li descrivono, perché testimoniano l’occupazione di un luogo da parte delle persone, delle loro credenze, abitudini, certezze. I graffiti sono spesso visibili in monumenti che si trovano vicini a siti marini e fluviali e, come nel caso di questa abbazia, rimangono dimenticati per secoli.
Nel 1993, l’archeologo Albert Illouze, esperto tra le altre cose di archeologia navale, scopre proprio su questi muri provenzali una serie di graffiti medievali che risalgono al XII secolo: ci sono 25 navi, datevi del tempo per trovarle, e diversi ex-voto, e alcune sfere decorate in modo elegante che sinceramente non ho capito cosa fossero o cosa volessero rappresentare.
Cosa ci dicono, questi segni? Ci raccontano che sono stati creati da un solo artista, data la consistenza dello stile, le dimensioni simili, e l’altezza a cui sono stati incisi nella roccia. Ci dicono che il loro creatore conosceva l’ambiente marino.
Non so più dove, ma avevo letto che la barca simboleggiava il mondo che si confronta col male nel pensiero dell’epoca, ma mentre resto a guardare il muro di sud-ovest, sono altre le domande che mi passano per la testa: dove andavano e da dove venivano quelle 25 navi? Cosa trasportavano? Chi c’era a bordo? Chi affidava la propria vita ultraterrena a quelle croci? E quegli ex-voto, per cosa rendono grazia? Un viaggio dentro il viaggio, quindi.
Le chimere
Le sorprese, però, non finiscono su queste navi.
Il chiostro, infatti, vi porteranno in un universo lontano, fatto di sacro e profano, di fantastico e di reale. I capitelli, affacciati sul giardino vuoto mentre lo visito, sono cariche di animali domestici: in pietra, per ricordare al visitatore che gli animali sono sotto il giogo dell’uomo.
Ma soprattutto le cime delle colonne sono piene di figure immaginarie che ritornano in continuazione in questa parte di Francia: li definiamo spesso mostri, demoni. Sono dragoni, tarasche, e chimere: teste e corpi di leone, code di serpenti e muso di capra, sono rappresentazioni di un’illusione priva di ogni legame con la realtà e di qualsiasi possibilità di concretizzazione.
Ma questi esseri a me non fanno affatto paura, perché il mondo moderno ha creato atrocità ben peggiori.