Petra – Giordania – Noi non siamo Infinito
Crediamo di aver inventato l’eterno. Di aver finalmente raggiunto l’indistruttibile. Di esser diventati immortali. Congeliamo il Tempo combattendo contro le nostre rughe a colpi di Botox. Siamo così tronfi dei nostri successi che non ci rendiamo neanche conto che, molti di essi, poggiano su fondamenta che nemmeno esistono veramente. Da bambina, invece, aprire un album di fotografie vere, era un momento epico: non solo avevo a disposizione qualcosa chiamato attesa, che si trasformava in un tempo più o meno dilatato a seconda del negozio dove portavo i rullini a far sviluppare. Avevo poi a disposizione qualcosa di tangibile, che ogni tanto tiravo fuori ed andavo a rivedere. Ogni tanto, potevo toccarla, la mia vita. Oggi, ho milioni di fotografie in una scatola nera grossa come un pugno. Le riguardo mai? Quasi mai. Dò per scontato che ci saranno per sempre. Lì, nella memoria esterna, oppure qui su questo sito. Affido la realtà che ho vissuto a qualcosa che in realtà non esiste. Pensiamo di essere diventati Infinito. E’ certo: viviamo più a lungo, viaggiamo più lontano, abbiamo accesso a più informazioni, abbiamo sconfitto enormi malattie, conosciamo più persone, facciamo calcoli più precisi, e guidiamo auto più veloci. Ho spesso creduto di essere Infinito. Poi sono arrivata a Petra, ed è cambiato tutto.
I Nabatei, che probabilmente intorno al 300 a.C. sono diventati i signori di Petra, tolleravano. Non presupponevano che la loro civiltà fosse migliore di altre. Non imponevano le loro divinità a quelli che con loro commerciavano. Gli storici non sanno quasi nulla di questa civiltà. La maggior parte dei documenti che li riguardano sono stati sbranati dal tempo, ma quando si entra a Petra da est, scendendo con gli occhi sgranati giù per il Siq, una delle prime cose che si notano sono delle piccole cassette scavate nell’arenaria che muta colore a seconda del momento della giornata. Alcune sono abitate da statuette, anch’esse intagliate direttamente nella roccia che ritraggono quelli che si pensano essere i protettori celesti dei Nabatei. Altre, sono vuote: chi commerciava con questa popolazione poteva, entrando a Petra, posizionare in esse le rappresentazioni dei propri dei. Questa parte di mondo non era esattamente in pace nei secoli prima di Cristo. Qui, mi sembra di capire ci fosse anzi un gran viavai e scorribande a non finire. Tuttavia, chi passava attraverso Petra, sebbene non avesse a portata di mano premi Nobel o aerei che sfondavano il muro del suono, aveva capito che solo l’annullamento dell’ignoto conduce alla pace. Entrare a Petra sapendo di aver la possibilità di poter far respirare i propri dei appoggiandoli in apposite cassette equivaleva a dire: io sono così, e tu? Guardiamoci negli occhi. Veniamoci incontro. Scopriremo di non essere poi così diversi.
Durante le mie giornate a Petra, posso anche dire d’aver vissuto momenti di assoluto smarrimento. Uno dei più profondi attimi di tremore interno si è manifestato quando, dopo 1200 scalini percorsi sotto un sole che ti scortica la pelle, maledicendo i muscoli che bruciano ed il sudore che scende già lungo la schiena prima ancora dell’inizio della scalata, ho raggiunto el Deir. Davanti al Monastero, ho concluso che noi non potremo inventare davvero più nulla. Siamo andati sulla Luna. Abbiamo debellato la tubercolosi, è vero. I Nabatei morivano per una ferita, probabilmente. E guardavano la Luna per orientarsi nel deserto, ma ne avevano verosimilmente terrore, certo. I Nabatei, però, senza macchine, né calcolatori, ma solo tramite la forza delle loro mani, hanno creato dalla nuda roccia una tomba alta 45 metri, che è durata intatta o quasi nel corso di secoli. Sferzata dal vento. Sfigurata dalle razzie. E’ lì. Ci parla. Sarebbe capace la nostra civiltà moderna di ricostruire, senza macchine, tutto questo? Alcuni di noi non sanno nemmeno come si ridipinge una stanza senza guardare un video su YouTube. Davanti a el Deir, ho ridimensionato l’entità dei nostri successi. Sebbene riteniamo di aver fatto passi da giganti, in realtà i giganti sono stati altri, prima di noi. Noi ci siamo pigramente seduti sulle loro spalle.
Non penso che un viaggio finisca nel momento in cui si torna a casa. Anzi, gli effetti di quanto sperimentiamo altrove continuano ad abitarci dentro. Petra, come pochi altri luoghi al mondo, ha iniziato a scavarmi l’anima. Non so se questa permanenza sia dovuta alla bellezza oggettiva del luogo o alle sue dimensioni impossibili da spiegare. Quasi sicuramente, però, la persistenza di Petra nella mia anima è dovuta a el Khasneh. Anzi, meglio – al momento in cui abbiamo intravisto il Tesoro in fondo al Siq. L’ingresso della città è un antico letto fluviale, una profonda gola tagliata nelle alte pareti di arenaria che fu trasformata dai Nabatei in trincea viaria deviando altrove il corso del torrente. Sai che ti stai avvicinando e che all’improvviso te lo troverai davanti. Il Tesoro è riportato su centinaia di libri e guide, l’hai già visto in pratica, sarà splendido, ma non sarà certamente più bello di .. che so? Il Colosseo? Poi succede. Ti rendi conto che nessuna foto, nessun dipinto di el Khasneh potrà minimamente avvicinarsi alla realtà. Akram il Grande, la nostra guida in Giordania, dopo un paio di kilometri giù per il Siq, ci dice: “Chiudete gli occhi. Fermatevi e fate un giro su voi stessi di 180 gradi. Quando vi darò il via, giratevi di colpo ed aprite gli occhi”. E’ quel momento, di noi con gli occhi stretti, che continuo a rivivere quando penso a Petra. Quel frammento di tempo durante il quale sai che quando li aprirai avrai davanti qualcosa che davvero è Infinito. Non lo so poi se è uno scherzo della memoria, ma se ripenso all’istante in cui ho riaperto gli occhi, mi sembra di ricordare solo un gran silenzio intorno a noi. Come se, per un magico gioco di specchi, avessimo attraversato ere intere, e avessimo potuto vederli, i Nabatei, andare e venire con le loro carovane di spezie e incenso. Le nostre vite incrociate alle loro in maniera indissolubile. Allunghiamo le mani. Forse la Storia si ricongiunge in luoghi come el Khasneh.
Non trovo un commento degno di questo bellissimo pezzo su un luogo davvero incredibile, cosi’ mi limitero’ a scrivere che sono felice di averlo condiviso:-)
Che commento! Grazie mille Pollicina. Con te, quei 1200 scalini sono stati un niente. Ripetiamo presto!
Emozioni che non si possono spiegare. Una descrizione fantastica.
Il Tesoro lo ammirerei all’infinito.
Grazie Marta! Che bei ricordi quel viaggio. Sembra essere accaduto in un’altra vita!