Quando la tecnologia fallisce, ovvero osservazioni sparse su un treno regionale lento tra Milano e Torino nell’inverno del 2015
Lasciata Centrale, su un binario vicino a quello su cui viaggia questo ammasso di ferro, un vagone giallo, e solo, su cui qualcuno aveva disegnato un sorriso largo. Un ragazzo, sui vent’anni, lineamenti iraniani, seduto di fronte a me, disegna un essere umano dagli occhi chiusi: un uomo? Una donna? Chi lo sa. Il viso del personaggio, lungo, era come impigliato in un bocciolo di rosa, o forse spuntava solamente dal collo ampio e regale del vestito.
A Rho appare la luna, a tre quarti, alla fine del pomeriggio: tutte le volte che la vedo a quest’ora mi ritrovo a fantasticare d’essere in un film sul futuro. Quasi mi aspetto che, guardando bene, di lune lassù ce ne siano tre.
Fabbriche ed automobili abbandonate, simboli di rischi ambientali sulla salute cagionevole di noi umani. Il cartello di un paese che si chiama Vittuone. Ma che nome è, Vittuone?
A Magenta, guardo un campo da calcio vuoto. Un uccello che plana verso il terreno ricoperto di una neve leggera che presto sparirà. Alberi di mele secchi ai lati del binario.
A Novara le Alpi sullo sfondo mi accompagnano e si trasformano in varie tonalità di rosa con l’avvicinarsi sempre più rapido della sera. Un graffito in bianco e nero raffigura l’iconografico viso di Shakespeare. I campi di riso intorno a Vercelli. Specchi d’acqua. Le mondine sono sparite. Una ruspa talmente piccola da sembrare un giocattolo.
Il giorno che diventa sera, le porte che si chiudono e lasciano fuori il freddo. Dei vasi, azzurri, nel paesaggio arrugginito della stazione di Santhià. Il sale sulle strade: nessuno stasera scivolerà. Delle vecchie locomotive derelitte, sole sotto un cavalcavia sui binari morti.
Il cartello “Do not go beyond the yellow line”.
I lampioni che si accendono sulle strade ormai buie di Chivasso. Un adolescente dalle spalle nude, gonfie di steroidi, sale a questa stazione e indossa delle cuffie rosa che lo rendono ridicolo.
I tralicci dell’elettricità sembrano, nei campi, delle grosse chiavi piantate per terra. I fiumi, oppure questo è solo il Po che mi accompagna.
La notte mi presenta Superga, lassù, e io so che sono a casa.
Proust diceva che il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. I miei occhi stasera sono nuovi: tutti i miei apparecchi tecnologici sono rimasti senza batteria. Per fortuna. Avrei perso tutto questo.
Rendere poetico un viaggio in treno da Milano a Torino è davvero un’impresa eccezionale, ma tu ce l’hai fatta. Complimenti! 🙂
Buoni propositi dell’anno: spegnere il telefono più spesso. Per godersi quello che ci sta attorno. Ce la farò? Non lo so. Io per ora ci provo. Grazie per il bellissimo commento – sei la mia groupie imperiese 🙂
Skandorina