Sembrava che tutto accadesse per la prima volta – Calcutta parte 1
E poi, niente. Sembrava che tutto accadesse per la prima volta, lì. All’aeroporto, le persone che si parlavano e si sorridevano, invece di guardare un cellulare. I colori avvolgenti dei sari, i lunghi capelli scuri delle donne. Sono cosciente del mio respiro, mentre passo il controllo passaporti. Noto che ci sono degli impiegati di una ditta di pulizia che si chiama “Green team” e puliscono i vetri e strofinano le piante nella hall degli arrivi. Alzo gli occhi, lì, di fronte a quello che sembra un muro di umidità, e vedo un aeroplano che decolla. Andare, venire. Dico ad una delle mie compagne di viaggio che per me questa è la mia prima India. Lei, sorride e dice: “Goditela, sono emozionata per te”. Mi sovrastano grigi edifici, un po’ pericolanti. Scorgo i primi esseri umani. Dormono tutti per strada. La sola cosa che penso è che potrebbero essere investiti in mezzo a quei clacson. Che idea stupida. Non penso al fatto che dormono per strada. E che non hanno niente. Niente. Sono niente. E poi, vedo i cani, li guardo e non so se dormiranno per sempre. Mi rendo conto che, a tratti, sbatto le scarpe più forte sull’asfalto. Lo faccio per capire se chi mi circonda è vivo. Che cosa stupida. Ci sono cartelloni pubblicitari disfatti, ovunque. Vedo ombre che ogni notte si avvicinano al New Market in Lindsay street, stendono un panno o un pezzo di cartone per terra, chiudono gli occhi, “ti prego dimenticati di me, mondo”. E poi, niente. Esco per la strada e la vedo. E’ piccolissima, vicino a me. Mi arriva a mala pena al seno, anche se ha parecchi anni più di me. Mi racconta delle sue tragedie. Qui, sembra tutto una tragedia. Eppure, mentre mi chiede se voglio un tatuaggio all’henne che non farò mai, lo fa. Mi sorride. E poi, niente. Sembrava che tutto accadesse per la prima volta.