Vanha Kauppahalli, Helsinki: non sono normale. Noi nemmeno, stai tranquillo.
In ogni viaggio, cerco di andare a visitare almeno un mercato nella città o nella nazione che ho scelto come destinazione. Le bancarelle, infatti, sono una miniera: se viaggio sola, mi metto in un angolo, osservo gli incontri e gli scontri, mi do del tempo per guardare come avvengono gli scambi non solo delle merci, ma anche delle persone e delle usanze. La quotidianità dei mercati, la regolarità con cui hanno luogo, gli orari e i giorni di apertura e chiusura, i prodotti che vengono venduti secondo ritmi stagionali, i profumi e i colori che si rincorrono tra un banco e l’altro sono uno specchio della società che li anima. Per provare a capire meglio Helsinki, siamo andati più volte alla Vanha Kauppahalli.
Della prima volta che siamo arrivati al Vecchio Mercato coperto in Eteläranta, vicino al molo sud del porto di Helsinki, ricordo l’aria pulita nella capitale, i traghetti in partenza verso l’Isola-fortezza di Suomenlinna e il sole tiepido che illuminava il Golfo di Finlandia.
Più forti ancora ritornano però i sorrisi leggeri e spensierati di noi tre, seduti di fronte alla Vanha Kauppahalli: lo sappiamo di essere all’inizio di un lungo viaggio, per forza ridiamo in questa Polaroid virtuale.
1888 è la data che si legge sull’ingresso della Vanha Kauppahalli: è l’anno in cui l’hanno iniziato a costruire per aprirlo poi nel 1889, appena qualche decennio più tardi di quelli del sud dell’Europa. Le attività della Vanha Kauppahalli proseguono con molta difficoltà fino almeno agli Anni Cinquanta: la Finlandia, infatti, deve attraversare la Prima Guerra Mondiale, la Guerra Civile d’Indipendenza tra il 1917 e il 1918, il Conflitto d’Inverno tra il 1939 e il 1940, e la Seconda Guerra Mondiale prima di riprendere fiato.
Noi abbiamo vissuto la Vanha Kauppahalli in tempo di pace, invece: il rosso e il bianco delle strisce che ne decorano l’ingresso e il viavai dei suoi visitatori ci hanno accolti in quella giornata di agosto del 2019. Il movimento di chi come noi era arrivato lì è stato quasi ipnotico: decine di persone si muovevano tra i suoi venti e più banconi che offrivano specialità alimentari da ogni parte della Finlandia e dal mondo.
Abbiamo percorso i suoi due corridoi tante volte durante la nostra prima visita: i nostri nasi sono stati riempiti dai profumi: da quello del caffè e dei bun alla cannella della catena Robert’s Coffee, che proprio all’interno del Vecchio Mercato coperto ha il loro negozio più antico di tutta la città, a quelli del ristorante Hanoi Vietnam, che da anni offre assaggi di specialità vietnamite come la zuppa di noddles Pho.
Per noi tre, però, la Vanha Kauppahalli rimarrà sempre legata ad un commerciante in particolare: allo stand numero 20, in fondo al primo corridoio, vicino ad uno dei bagni più puliti della storia mondiale delle toilette, abbiamo trovato Kalakauppa E. Eriksson. Non so dirvi esattamente cosa ci abbia fatto fermare e poi tornare da questo mercante più e più volte nel corso del nostro viaggio in Finlandia: questa pescheria vende pesce affumicato, crudo, fresco, e crostacei che provengono non solo dai mari nazionali, ma anche dall’estero. Penso che ad attrarci non sia stata però solo la freschezza di tutti i prodotti esposti nei suoi banconi. Penso che a farci fermare lì sia stato Juha Lindberg.
Guarda questo sandwich, guarda questi gamberi e questo salmone, guarda questo, che buono dev’essere quello. Noi tre siamo amici anche perché amiamo mangiare e amiamo poterlo fare insieme. Farlo in un viaggio è una di quelle esperienze che rendono l’esperienza ancora più preziosa, in fondo. La condivisione del cibo, dei gusti, dei colori delle pietanze, fammi assaggiare, sporcarsi le mani, senti che buono questo, rovesciarsi un po’ di salsa sulla maglietta, aspetta vado a prendere un paio di tovaglioli, copiare quello che fanno i residenti locali e comprare gli stessi piatti, io ne mangerei altri 25 di questi panini: tutto questo è infinitamente importante per me in un viaggio.
Abbiamo incontrato Juha proprio il primo giorno. Ci ha sorriso come si sorride ad un amico, sapete. Ci ha chiesto subito da dove venivamo. Si è avvicinato al piccolo tavolino dove stavano mangiando in piedi il nostro secondo (o terzo) panino. “Fantastico: siete italiani! Allora nelle prossime settimane dovremmo andare insieme allo stadio a Tampere: la Finlandia incontrerà l’Italia per le qualificazioni ai Mondiali di Calcio”, ha detto ridendo. Non siamo mai andati allo stadio insieme, ma sicuramente il suo commento ora assume un significato molto più profondo: ripensandoci ora, in un mondo in totale isolamento dove le distanze sono tornate ad imperare, un po’ mi commuovo di fronte alla bellezza di un’interazione sociale così semplice e che abbiamo dato per scontato per decenni.
Abbiamo chiacchierato con Juha anche durante la seconda e la terza visita alla Vanha Kauppahalli. Ci ha raccontato della sua attività con il candore tipico degli scandinavi: senza esagerazioni, realisticamente. Ci ha spiegato gli ingredienti dei suoi best-seller: li chiamano skagen in Finlandia e in Svezia. Sono delle fette di pane di segale su cui vengono appoggiati vari ingredienti. Quelli preparati dai collaboratori di Juha hanno vari tipi di salmone affumicato (al timo, all’aneto e così via), ma per me i più buoni sono quelli che hanno piccoli gamberi freschi conditi in una salsina fatta di fiocchi di chilli, aceto di mele e un pochino di maionese.
Ricette semplici come questa mi fanno da sempre apprezzare e ricercare il cibo da strada, quello che si assapora veloce, in piedi, a volte ai lati di una via trafficata: non c’è bisogno di dare spettacolo con il cibo affinché esso sia gustoso e nutriente.
Tra tutte le conversazioni con Juha, forse, però, quella che più mi è rimasta nella testa in questi mesi è stata l’ultima che abbiamo avuto con lui. Siamo andati a salutarlo (e a mangiare gli ultimi 25 skagen) il giorno della partenza per l’Estonia.
– “Andiamo qualche giorno a Tallinn”, abbiamo bofonchiato con la bocca piena di gamberi e salmone.
– “Uh, Tallinn: là sì che vi troverete bene. Là sono tutti più aperti e più matti dei finlandesi, vedrete”.
– “Ma Juha, come altri che abbiamo incontrato, tu ci hai parlato con gentilezza e ci hai sorriso tantissimo in queste settimane”, gli abbiamo detto sputacchiando salsa al chili ovunque.
– “Io non sono un finlandese normale. Anzi no, forse io non sono proprio normale”, ha concluso un po’ imbarazzato.
Penso che la normalità sia un concetto assurdo, che non esista realmente. I punti di vista sono per definizione relativi e variabili e tutti percorriamo traiettorie impazzite e instabili. Viaggiare mi ricorda che nulla è fisso, assoluto. I modi di fare, di comportarsi, di reagire, sono mutabili e infiniti, e sono tutti plausibili (a parte quelli che prevedono violenza, ci mancherebbe). Per me, un timido sorriso finlandese ha lo stesso valore di un abbraccio italiano e uno skagen vale quanto una torta Pasqualina.
“Neanche noi lo siamo, stai tranquillo”.
Ciao Juha, ciao Helsinki.